Intervista esclusiva a Luigi Porto: movimento tellurico
Luigi Porto è un compositore e sound designer cosentino che lavora a New York. Lo abbiamo intervistato in occasione dell'uscita del suo ultimo album "Tell Uric", che racconta l'America proletaria, quella meno patinata delle minoranze, quella che lotta per non essere sopraffatta dalla gentrificazione.
Ciao Luigi, benvenuto su Toptesti.it. Ci presenti il tuo ultimo album "Tell Uric"?
E' il disco più personale da diversi anni a questa parte. Ci sono dentro canzoni che risalgono al 2002. E' una raccolta di canzoni che girano intorno al concetto di predestinazione di casta. E' per me un ritorno alle sonorità elettriche, debitrici del rock psichedelico e di certi anni '90.
Quali sono gli aspetti del disco di cui vai più orgoglioso?
Il fatto di essermi preso il tempo necessario per lavorarci con i miei collaboratori. Di alcuni brani sono state registrate più versioni negli anni, o ho rifatto completamente le sezioni ritmiche a distanza di anni, ripensandole. E' questo il bello di essere un artista indipendente ? nel senso che la tua vita non dipende dalla vendita dei tuoi dischi o dagli incassi dei concerti.
"Morningside" ha anticipato l'uscita dell'album. Il brano e la rappresentazione per immagini del videoclip hanno un sapore davvero particolare. Hai detto che non ti è mai interessata la riconoscibilità del suono. La riconoscibilità è sempre un valore?
Alla fine la riconoscibilità c'è, vuoi o non vuoi. Credo che il tuo stile salti fuori in qualsiasi cosa tu produca. Non mi piace, per me, l'idea di costruire un "marchio di fabbrica" del sound. E' una cosa bellissima quando funziona, per una band, non la critico assolutamente, ma non è quello che volevo io. Più che altro mi piace che ogni album abbia un suo sound, un suo colore riconoscibile, anche nella varietà di direzioni. I miei musicisti preferiti, come Christian Death, Sakamoto, Neil Young, hanno fatto dischi diversissimi tra loro. Neil Young una volta è addirittura stato citato per danni dalla sua etichetta perché aveva fatto un disco che "non suonava come Neil Young"!
"La spensieratezza lucida, la vera felicità l'ho percepita solo dove non c'era ambizione". E' una frase che hai usato nella descrizione del disco e che mi ha colpito molto. In una società che esaspera il concetto di competitività in ogni settore, le persone sono destinate a essere sempre più infelici?
E' un discorso che da ogni lato rischia di cadere nel luogo comune da calendario di Frate Indovino, del tipo "la felicità sta nelle piccole cose". Una banalità. E il grande problema delle banalità, è che su di esse non ci si ferma mai a riflettere, proprio perché sono banalità, non viene loro attribuita dignità di ragionamento, spessore. Ti posso dire che, anche per il lavoro che faccio, ho notato che la differenza di struttura mentale, di consapevolezza, tra classi operaie e classi medio-alte è spesso insormontabile.
Chi "nasce" in basso ha una visione più lucida dei problemi e delle negatività, e la accetta più di buon grado, si muove bene al suo interno, mentre a livelli sociali più alti si tende a costruire dei castelli di carte, non si hanno molte armi per superarli. Allo stesso modo, chi nasce in alto ha accesso di diritto all'ambizione. Questo in America funziona anche per le etnie: la razza bianca, quando è povera, ha un livello di "coping" molto più basso delle altre, proprio perché cresciuta nel mito di sé stessa e della propria ambizione. Tutte le altre etnie hanno capacità di organizzazione migliori. Se la vedi in questi termini, il concetto di Superuomo inventato in mitteleuropa si applica molto di più a popoli provenienti da altre parti del mondo.
L'album è ricco di collaborazioni. Come sono nate?
Alcune sono storiche, come Massimo Palermo, Al The Coordinator, Ruvio ed altri. Altre sono nate a New York e consolidate negli anni, come Alexandra, Ray, Meredith, Chaitanya e la sua famiglia. Tutti grandissimi musicisti di cui ho cercato di prendere alcuni aspetti "angolari". Alexandra non aveva mai cantato questo genere, è un soprano di coloratura, Ray è un pianista e compositore e questo è il primo disco in cui suona la fisarmonica.
Per fare questo disco hai rivolto lo sguardo all'umanità più umile ma estremamente dignitosa "fatta da chi, per quanto si sforzi, non tocca mai il cielo", facente parte della realtà americana in cui ti sei immerso da un pò di anni. E' possibile trasporre questo discorso nella tua terra d'origine, Cosenza? Cosenza è una città piccola ma si avverte in modo netto una certa lotta di classe, una dicotomia tra il ceto borghese e coloro che cercano di restare a galla.
In realtà io credo che Cosenza sia, come molte città piccole, anzi più di molte, un laboratorio interclasse. In una piccola città si inizia nelle scuole miste, certo la differenza di ceto sociale può esserci tra un liceo classico e un istituto professionale (io ho fatto lo scientifico, che alla fine è una via di mezzo), ma di pomeriggio incontri i tuoi amici che vengono da entrambi i mondi.
A Cosenza abbiamo vissuto secondo me in un modo che pochi hanno potuto permettersi, discutendo la mattina con filosofi parigini all'Unical e picchiandoci per strada la sera. Sembra un'assurdità ma è importante, specie quando poi ti muovi in altri ambienti e dovunque vai ti trovi a portare un vissuto che gli altri non hanno. E poi le esperienze comunitarie, Ciroma, personaggi come Carlo che da pochissimo ci ha lasciato e che ha letteralmente contribuito a forgiare una generazione di musicisti.
No, io non scambierei mai e poi mai la mia adolescenza completa, sfaccettata, vissuta a Cosenza con il crescere in alcune grande città e i loro compartimenti stagni, dove a seconda del quartiere sei destinato ad essere un colletto bianco o un gangster.
Secondo te è più facile per un cosentino approcciare la realtà newyorkese oppure potrebbe esserlo per un newyorkese introdursi nella realtà cosentina?
Vedi risposta precedente: se Cosenza l'hai vissuta veramente, almeno la Cosenza della mia generazione, con le occasioni di crescita culturale, sociale ed interpersonale che offriva, sei pronto ad affrontare qualsiasi cosa. Ovviamente certo, avendo gli strumenti relazionali e psicologici adeguati.
Il tuo lavoro è sound designer. Che cosa fa un sound designer e qual è il percorso per poterlo diventare?
Il sound designer è un termine fighetto, come tutti i termini che finiscono con "designer", un vigile urbano potrebbe essere chiamato "traffic designer". Ma purtroppo oggi si usa per indicare la professione, e veniamo riconosciuti così. Siamo montatori del suono e montatori degli effetti sonori dei film.
La differenza, se vogliamo, nell'essere un "sound designer" è che nei progetti di solito si viene coinvolti a monte, a volte durante le prime stesure di sceneggiatura. Comunque il sound designer immagina l'impronta sonora di un film, per dirla in soldoni, e procede con le varie fasi ? montaggio dialoghi, montaggio effetti, foley ? guidando una squadra di professionisti. Io ho il mio studio, il Respirano Sound, che fa base a New York ma con una squadra che per metà è in Italia.
Quali sono le qualità che deve avere un buon sound designer?
Dipende che tipo di sound designer. Io lavoro nel cinema d'autore. Può sembrare una cosa snob ma non riuscirei mai a lavorare ad Hollywood, non vedo un film di supereroi da quando ero bambino, né amo sonorizzare trailer o videogiochi, per quanto quest'ultima sia una scienza veramente complicatissima. Per questi devi essere al passo coi tempi, devi avere un certo gusto per i suoni stratificati, pieni. Per quello che faccio io è una questione di atmosfere. Certo, in tutti questi campi bisogna avere un orecchio abbastanza fino (per poi inevitabilmente perderlo a furia di bazzicare i volumi delle sale mix).
Temistocle Marasco
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